L'ELMETTO FARINA.
Lelmetto Farina rappresenta un importante punto di riferimento per ciò che riguarda levoluzione del casco da combattimento o elmetto moderno. Degli elmi più antichi non abbiamo più memoria però tutti noi ricordiamo i cavalieri bardati di pesanti armature e protetti da lucenti elmi guarniti con sontuosi pennacchi di piume. Se proviamo a scorrere le epoche della storia ci accorgiamo che ad un certo momento (XVI secolo), più o meno con linvenzione della polvere da sparo ed il suo largo utilizzo da parte delle forze armate europee, lelmo perde via via dimportanza fino a scomparire del tutto, lasciando spazio ai copricapo tradizionali come tricorni, colbacchi lucerne e feluche. Per tutto il periodo successivo, a parte rari casi individuali, non si riscontra più lutilizzo massiccio e sistematico di elmi fino alla prima guerra mondiale. Da qui possiamo, quindi, comprendere limportanza e la valenza che assume lintroduzione dellelmo Farina nel Regio Esercito Italiano.
Questo elmo fu inizialmente distribuito a livello di Corpo dArmata, nel numero di diciotto esemplari. Lelmo fu dato alle Compagnie della Morte così denominate per laltissimo numero di caduti che contavano fra le loro fila. Il compito di queste squadre di volontari era quello di aprire una strada fra il groviglio di reticolati di filo spinato che sbarravano la strada agli assalti della fanteria. Era quindi ovvio che la protezione contro il fuoco che il nemico concentrava su di loro era indispensabile.
Passiamo ora ad esaminare lelmo Farina nelle sue componenti e varianti.
Innanzi tutto va detto che lelmo fu ideato e costruito dallingegner Ferruccio Farina, il cui laboratorio si trovava in Via Ruffini 10 a Milano. Questo nome e questo indirizzo si trovano, infatti, sul timbro ovale che era applicato allinterno della falda anteriore dellelmo e che riportava, in cifre romane, anche la taglia (I II III).
Lelmo era composto da tre parti principali dipinte con vernice opaca antiriflesso grigio verde. La calotta, in lamiera ovoidale cui era fissata con otto chiodini ribattuti, la falda anteriore, composta da quattro fogli dacciaio sovrapposti e tenuti assieme da cinque chiodini ribattuti, e la falda posteriore anchessa in lamiera e dellaltezza di circa quattro centimetri. Ai lati della testa, allaltezza delle orecchie erano fissati, con due ribattini, altrettanti riporti in lamiera cui era attaccato il soggolo in cuoio grigio verde con fibbia in metallo.

La falda anteriore distingueva il modello chiamato alto dal modello denominato basso. Nel primo caso, infatti, la falda anteriore era lunga 12 cm e centralmente presentava unincisura trapezoidale che aveva la funzione di proteggere il volto del soldato lasciando però lo spazio per vedere (figura 1). Il modello denominato basso, invece, presentava la falda anteriore di soltanto otto centimetri, era privo dincisura ed aveva i margini della falda tagliati obliquamente in avanti (figura 2).
Ben presto, però, il problema dellaerazione fu risolto con ladozione di una cresta tipo elmo Adrian che aveva la funzione di coprire un foro effettuato sulla sommità della calotta (figura 5). Questa modifica fu effettuata sugli elmi di entrambi i modelli.
Sempre in questo periodo fa la sua comparsa, una versione che è una via di mezzo fra il modello alto con aerazione ed il modello basso con aerazione. Questelmo presenta, infatti, la falda anteriore bassa ma con falde tagliate verticalmente ed incisura centrale (figura 6).
Non esisteva unimbottitura di serie. Inizialmente fu utilizzato il berretto da campo indossato allindietro. Successivamente fu adottata una cuffia di stoffa trapuntata ed imbottita con crine di cavallo ed ovatta. In alcuni casi, furono anche fissati due pezzi di caucciù allinterno della falda anteriore per migliorare la stabilità dellelmo.
Nonostante tutti i tentativi per migliorarne la vestibilità, lelmo farina rimase uno strumento scomodo e pesante, che rappresenta, però, il padre del moderno elmo da combattimento ma soprattutto quel copricapo che ha contribuito a salvare la vita a molti e molti soldati.
Ed ora un po' di foto.